n. 2/2014 – Il ruolo dei think tank in una strategia di lobbying

Nel nostro Paese, sotto l’etichetta “think tank” sono finite le realtà le più diverse. In italiano il “think tank” è “pensatoio”, che non è la fontana per rivedere i propri ricordi che Harry Potter trova nell’ufficio del professor Silente, ma parola curiosa, che allude a forme di meditazione collettiva. “Pensatoi”, negli anni scorsi, sono stati l’equivalente contemporaneo dei micro-partiti, avventure personalistiche escogitate da leader (o aspiranti tali) che puntavano tutto sulla legittimazione intellettuale; riunioni ben frequentate in località estive o invernali di pregio; gruppi di intellettuali più o meno formalmente legati a un partito politico; cospirazioni fallite della “società civile” per guadagnarsi un posto al sole in politica. Il catalogo potrebbe continuare. Questi “pensatoi” sono accomunati da una cosa soltanto: si tratta di luoghi dove, più che pensare, la gente s’incontra. I think tank luoghi d’incontro lo sono indubbiamente: ma siccome la gente s’incontra anche a cena o allo stadio, è opportuno chiedersi perché incontrarsi in un think tank.

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